21 maggio 2010

21 maggio 2010

Terra senza cielo.

In partenza per l’Africa mi sono posto alcune domande: come immagini e suoni raccontano un paese (il nostro) e perché ci interessano (o non ci interessano)?

La conclusione alla quale sono giunto mi ha sorpreso ed è ciò che mi ha spinto a condividere queste riflessioni.

Ci sono solo due tipi di comunicazione audiovisiva che ci coinvolgono davvero (se ci capita di farne esperienza) e che quindi paiono nella nostra società degni di nota. Non si tratta del web, ricco di potenzialità ma che ancora ha una funzione tutta strumentale, una sorta di bigino o di enciclopedia ed è, al di là delle apparenze, di assoluta retroguardia; così come non si tratta del cinema distribuito nelle sale o “ripassato” in tv in prima serata.

Mi riferisco invece ai programmi televisivi e al cinema “povero”, quello che ciascuno può (tentare) di fare con una videocamera e un microfono. Sono i due estremi della produzione audiovisiva. Quanto c’è di più indipendente e di più dipendente. Sono quanto è più fasullo (e se riesce a sembrare “vero” lo è ancora di più) e quanto è ancora capace di (miracolosa) autenticità. Sono la “comunicazione” (in definitiva sempre pubblicitaria, promozionale) e il “puro trasferimento da un io a un tu”. Sono quanto ha maggiore e più capillare diffusione e ciò che al contrario ha una vita precaria fatta di passaggi di dvd masterizzati in casa o di apparizioni ai festival. Né l’una né l’altro si possono in genere “scaricare”. Non si trovano su E-mule.

Sono il Bene e il Male? Questo ditelo voi. Perché sono le due sole forme audiovisive che davvero ci riguardano tutti, nelle quali possiamo metterci in gioco.

Se il mercato è, come dicono gli economisti, un’offerta che incontra una domanda, la sposa e tenta di rendere questa unione indissolubile, la televisione è la sua piena realizzazione audiovisiva.

Se l’arte è, come diceva Duchamp, la differenza aritmetica fra intenzione dell’artista e risultato, questa può verificarsi pienamente solo nelle condizioni del cinema “povero”.

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Mi riferisco al nostro paese in modo particolare ma il discorso vale anche altrove. Può darsi che sia vero anche nella lontana Africa sub-equatoriale. Fra qualche settimana, al ritorno da questo viaggio, forse saprò dirlo.